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10 marzo 2020 –  Il timore del contagio ha stravolto le nostre abitudini, le nostre relazioni, il nostro quotidiano che dobbiamo reinventarci. Ma l’emergenza Covid 19 ha sovvertito anche le esistenze nelle realtà più marginali. Nel condannare fortemente le rivolte scoppiate nelle carceri italiane, e nell’esprimere la piena solidarietà ai direttori, alla polizia penitenziaria e a tutti gli operatori che lavorano nelle strutture, non posso non interrogarmi sulle dinamiche e le precondizioni di quelle sommosse. 

 

Se la violenza è deprecabile sempre e comunque, non possiamo non capire che il disagio negli istituti penitenziari ha radici profonde. Innanzitutto il tanto discusso sovraffollamento: in una cella da due persone spesso stanno in quattro. E nei casi limite, anche per ben 20 ore al giorno. È del tutto evidente che l’emergenza coronavirus abbia innescato la miccia delle proteste. In queste condizioni, come si fa a garantire le misure minime di igiene per scongiurare il contagio? In quei pochissimi metri quadrati, come si può rispettare il limite della distanza? In questo incubo nel quale tutti siamo stati gettati, proviamo a pensare cosa significhi non avere più la possibilità di un contatto, nemmeno virtuale, con la famiglia. 

 

Oggi siamo in emergenza, a fatica riusciamo a gestire gli ospedali e le cure per chi si ammala, e dunque ancora una volta i problemi delle carceri rimarranno latenti, senza una soluzione ragionata. Oggi possiamo solo pensare a provvedimenti tampone, ma un minuto dopo la fine del pericolo Covid – perché questa burrasca passerà, non subito, ma passerà – noi dovremo impegnarci seriamente per cercare di risolvere i tanti problemi che affliggono le carceri italiane.

 

Garantire ai detenuti e a chi lavora in carcere la sicurezza è un dovere per tutti. Chi è rinchiuso deve rispettare le regole. E su questo bisogna essere intransigenti. Garantire però a chi sconta la pena un percorso di autonomia, di educazione, di istruzione, è un prerequisito per eradicare la recidività dei crimini. Questo è un punto di partenza dal quale non dovremo prescindere. 

 

Certamente andrebbe fatta una riflessione più ampia, che riguarda la situazione della maggioranza degli istituti e il tema delle pene alternative. Un ragionamento che andava fatto – e andrebbe fatto – non sull’onda di un’emergenza. Ma oggi esiste la necessità di come intervenire subito. 

 

Prevedere come gestire l’emergenza Covid-19 è indispensabile: allestire un centro di ricovero per eventuali persone contagiate ora e non per una possibile emergenza, sopperire con adeguate possibilità informatiche ai rapporti tra detenuti e famigliari per ovviare all’indispensabile sospensione dei colloqui, sono due possibili azioni da mettere in pratica.   

 

È Importante soprattutto non lasciare mai campo alla percezione che ci siamo dimenticati di detenuti e personale. Anche in questa immane difficoltà é ben presente la consapevolezza che non esistono persone meno importanti, ma che tutti, tutti, hanno le stesse difficoltà e gli stessi diritti.

 

Gianni Girelli, Consigliere regionale Pd e Presidente della Commissione speciale situazione carceraria in Lombardia 

PD Regione Lombardia