Storia di un declino industriale

 

“Quando vedo passare un’Alfa mi tolgo il cappello.”
(Henry Ford)

 

Il contesto - La crisi dell’industria milanese - La storia dell'Alfa di Arese - C'era una volta una grande azienda - cronologia di un declino - Le tappe: 1986 - 1988 - 1989 - 1994 - 1996 - 1997 - 1998 - 1999 - 2000 - 2002 - 2003 - 2004 - 2005 - Oggi

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Il contesto - La crisi dell’industria milanese

La crisi del settore industriale è uno dei fattori che negli ultimi anni hanno contribuito a portare l’Italia sulla soglia della crescita zero. A Milano e in Lombardia questo fenomeno si è registrato con netto anticipo e in termini decisamente marcati. Fin dagli anni ’80 (periodo che curiosamente coincide con il “disimpegno” da parte dello Stato in molte aziende partecipate), nel milanese, le imprese di ogni settore e dimensione sono entrate in una profonda crisi strutturale. Molteplici sono i macro-fenomeni che negli anni successivi hanno aggravato tale situazione (e ne sono, in parte, anche la causa): la delocalizzazione dell’attività manifatturiera a basso valore aggiunto verso i paesi dell’Est mondiale, dove i costi di produzione sono infinitamente minori, il grande numero di “imprese familiari” che non favoriscono la dinamicità della nostra economia, la cosiddetta “fuga dei cervelli” all’estero, cosa che ha penalizzato notevolmente le sorti (già abbondantemente compromesse) della ricerca in Italia e il nanismo industriale sono i principali fattori che determinano la crisi. Le grandi imprese motori dell’economia nazionale (quelle perciò che anticipano tutti i cambiamenti di ordine internazionale) cominciano a chiudere i battenti: Falck, Magneti Marelli, Ansaldo e Breda lasciano il posto ad aziende informatiche e di comunicazione con potere occupazionale decisamente inferiore. Dagli anni ’90 ad oggi la situazione non ha subito sostanziali modifiche (a parte la fugace bolla della new economy, scoppiata dopo poco). Tra i casi più eclatanti Ibm Italia, azienda di 8000 dipendenti (di cui 2.600 a Milano) ha dovuto affrontare il licenziamento di 1000 lavoratori e STMicroelectronics, multinazionale italo-francese leader nella produzione di chip elettronici, che dovrà separarsi da 3000 lavoratori in Europa (nel nostro Paese gli esuberi sono previsti nel numero di 990). Nel 2004 (nota 1)in Lombardia 8.015 lavoratori sono stati messi in cassa integrazione e il ricorso alla mobilità ha interessato più di 21.145 lavoratori. Ultimamente grosse aziende come la Candy e la Siemens si trovano in condizioni di forte crisi e sono costrette a delocalizzare e a prendere provvedimenti di mobilità nei confronti dei propri dipendenti. La crisi dell’industria nel milanese è palese e il caso dell’Alfa di Arese ne è la dimostrazione storica più lampante, la più controversa e di sicuro la più complessa.

nota 1: Dati Fiom, 2005

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La storia dell’Alfa di Arese

Le origini dell’Alfa (Anonima Lombarda Fabbrica Automobili) risalgono al 1910, quando 250 dipendenti producevano 300 automobili al giorno nello stabilimento di Portello, alle porte di Milano.
Nel 1915 l’Alfa viene interessata alle commesse militari ed entra nell’orbita delle società controllate da Nicola Romeo, industriale partenopeo. Da questo momento il settore corse, verso il quale l’azienda si stava dirigendo con buoni successi, viene messo da parte per direzionare l’azienda milanese nelle commesse militari nelle quali le aziende di Romeo erano impegnate. Il nome dell’industriale napoletano comparirà alla fine della seconda guerra mondiale formando così il marchio Alfa Romeo.
Con gli anni Venti l’azienda riprenderà a competere nel settore corse (nel 1929 questo settore di attività verrà separato ufficialmente, da qui nascerà la scuderia Ferrari) e la produzione industriale fortifica i suoi primi successi imponendosi anche sul mercato internazionale. Il gusto nella guida diventa una passione prepotente e un vero “status symbol”. Ci si comincia a interessare alla produzione di serie.

Nel 1932 l’I.r.i. (Istituto per la Ricostruzione Industriale) diventa proprietario dell’Alfa e annuncia il ritiro dalle competizioni (le rosse milanesi continueranno a correre sotto il segno del cavallino della Scuderia Ferrari, che continuerà a rappresentare l’Alfa nelle gare). La produzione, intanto, si estende anche a camion e autobus. Negli anni ’50 l’Alfa Romeo si lancia nella produzione in serie: sono gli anni di maggior splendore della casa milanese. Si inaugura la catena di montaggio.

Nel 1960 cominciano i lavori per la costruzione dello stabilimento di Arese, che entra in funzione nel 1963.

Il marchio Alfa Romeo diventa simbolo del Made in Italy, la qualità e l’affidabilità dei suoi prodotti la rendono famosa in tutto il mondo. Numerose star dell’epoca si divertono a posare e farsi fotografare al volante delle Alfa, (operazione di immagine che conviene ad entrambi) marchio che, in quel periodo era sinonimo di successo e prestigio sociale.

La prima vettura prodotta ad Arese è la Giulia che vende oltre un milione di copie nelle diverse versioni.

Gli anni ’70 passano con qualche sussulto, ma gli anni ’80 costituiscono il vero periodo di crisi della azienda del biscione. Le partecipazioni statali nella grande industria diminuiscono e l’Alfa, gestita dall’Iri, ne risente. Nei primi anni ottanta la produttività è in calo preoccupante.

Il 1986 è una data storica per la azienda la Fiat diventa proprietaria di Alfa Romeo.
Finmeccanica (La Società costituita dall'Iri per gestire le partecipazioni nell'industria meccanica e cantieristica acquisite nei primi 15 anni di vita dell'IRI) cede l’Alfa Romeo alla Fiat per 1700 miliardi, si dice, però, che lo Stato non abbia mai incassato questa somma. L’Alfa verrà concentrata con Lancia e fondando un raggruppamento chiamato “Alfa Lancia S.p.a.”.

Nel 1989 anche il centro produzione stile si trasferisce nello stabilimento di Arese. Le cose, però, cominciano ad andare storte.
Da allora l’azienda ha conosciuto un periodo di inesorabile declino, si sono susseguiti “ridimensionamenti aziendali” e procedimenti di mobilità per i lavoratori, tanto da falcidiare i dipendenti dell’Alfa di Arese, dai 16mila del 1986 (nel 1982 erano 18mila) ai quasi 800 di oggi. Si sono chiuse aree produttive e persino distrutti macchinari tanto da impedire lo svolgimento del lavoro. Sono stati anni di promesse non mantenute, accordi non rispettati e di difficili dialoghi istituzionali. I sindacati hanno avuto una parte importante nella vicenda, da molti fortemente discussa, la loro è, comunque, una presenza costante nelle trattative per i lavoratori di Arese. Nel 2000 la Fiat ha venduto lo stabilimento ad una società bresciana di nome Immobiliare Estate Sei e alla società di assicurazioni americana Aig Lincoln.

I dipendenti dell’Alfa di Arese, a vent’anni dall’avvento della Fiat e dai primi provvedimenti di mobilità e di lento smantellamento, non hanno visto ancora esaudito il loro desiderio, nonché diritto, di chiarezza sul loro futuro (per chi non ha già perso il lavoro). Evidentemente la politica della Fiat non è stata quella di puntare sullo sviluppo dello stabilimento lombardo e la Regione non ha saputo fare nulla di concreto per proteggere i lavoratori di questo importante polo industriale. E le vicende che si sono susseguite con l’avvento dei nuovi proprietari non hanno contribuito a creare posti di lavoro in numero significativo per i dipendenti ex-Alfa.

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C’era una volta una grande azienda
Cronologia di un declino

La fabbrica come un piccolo mondo, dove si svolge la vita di migliaia di lavoratori (l’Alfa contava 16mila dipendenti, non è forse la popolazione di un intero paese?): otto ore al giorno per una vita è la vita stessa.

“Per me era come entrare in paradiso, mi trovavo in una fabbrica gigantesca, con una vita interna incredibile. La fabbrica mi ha insegnato ad essere una persona migliore, ho insegnato ai miei figli a non abbassare mai la testa” (nota 2). Era il 1972. Carmela Tassone ha lavorato una vita nell’Alfa di Arese.
Le teste di molti lavoratori da allora si sono dovute, purtroppo, abbassare ai provvedimenti dell’azienda.
Come racconta Mario Agostinelli (nota 3) “C'era un tempo in cui in fabbrica entrava il grande Eduardo De Filippo e c'era un tempo in cui il popolo operaio, con il vestito della festa, varcava insieme a tutta la famiglia la soglia del grande capannone 6 per andare a teatro. È accaduto molti anni fa, all'inizio degli anni 80, all'Alfa di Arese” (nota 4). Erano gli anni dove il consiglio di fabbrica era costituito da 400 dipendenti. Questo accadeva fino al 1986, anno in cui l’azienda viene “acquistata” dalla Fiat. Chi avrebbe potuto immaginare che, mentre le automobili del biscione erano simbolo di stile e di qualità in tutto il mondo, in Italia la fabbrica che produceva le mitiche Alfa di lì a poco si sarebbe sgretolata pezzo per pezzo?
La fabbrica controllata dall’I.r.i. (tramite Finmeccanica), viene acquistata dalla società della famiglia Agnelli, preferita a Ford che, sebbene avesse presentato un’offerta decisamente più vantaggiosa per le casse dello stato, ha commesso il fatale (diventato poi pretestuoso ai fini della preferenza per Fiat) errore di ammettere fin dall’inizio la necessità di ridurre il personale. Forse la Fiat pensava di poter dirigere questa azienda con il massimo dell’efficienza senza ridurre l’organico. Bisogna anche considerare che ai tempi in cui la Fiat prende possesso dello stabilimento si assicura un marchio di primo piano nel mercato continentale. Negli anni ottanta il mercato dell’automobile era molto diverso da quello odierno: la concorrenza internazionale era molto meno agguerrita, non si era ancora verificato l’avvento delle case automobilistiche orientali, ad esempio, e Audi e non era la casa di produzione di successo di oggi. Questo avrebbe dovuto essere un elemento a favore dell’Alfa, che godeva già di ottime credenziali nel mercato internazionale, ma evidentemente il management della casa torinese non ha saputo sfruttare questo vantaggio.

nota 2: http://www.lomb.cgil.it/puntof2002/21_06_02alfa.htm
nota 3: Ex segretario Cgil Lombardia e attuale consigliere regionale
nota 4: http://www.ilponte.it/arese.html

 

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Le tappe


1986
Al momento in cui Fiat acquista dall’I.r.i lo stabilimento dell’Alfa Romeo di Arese sono 16mila i dipendenti impiegati in questa azienda. 1700 sono, invece i miliardi che Fiat avrebbe pagato per l’acquisto. Varie fonti esprimono forti dubbi sul reale versamento di questo denaro nelle casse dello Stato. Appena insediata nello stabilimento lombardo la Fiat comincia a mettere i dipendenti in cassa integrazione (a fine anno sono 6000 i dipendenti messi in cassa integrazione a “zero ore”).

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1988
Il bilancio annuale si conclude con un segno positivo: le vendite danno buoni risultati, grazie al successo del nuovo modello “Alfa 164” e la produttività aumenta tanto da permettere, per alcuni, l’azzeramento della cassa integrazione entro la fine dell’anno.

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1989
La Regione e il Giudice Amministrativo accolgono il ricorso presentato da un gruppo di cittadini di Arese, costituitisi in comitato, e impongono la riduzione dell’attività del reparto verniciatura da 800 a 400 vetture al giorno. Il reparto produzione ne risente.
Comincia una fase di drastica riduzione dei dipendenti che continuerà per tutta la decade a venire.
Qualcuno comincia ad interrogarsi sulle reali intenzioni della Fiat nello sviluppo della produzione in quest’area. Il management Fiat, nonostante il successo della 164, non vuole più investire sulle auto di fascia alta, svalutando, di fatto, il marchio Alfa in Italia e all’estero. La richiesta del mercato si abbassa notevolmente.

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1994
La situazione di stallo si trascina fino al 1994, anno in cui viene firmato, in data 1 marzo, il primo Protocollo di intenti tra Fiat e il Governo: lo Stato viene ancora in aiuto della casa torinese.
La crisi non è più arginabile con i mezzi propri della azienda della famiglia Agnelli, ci vuole l’intervento della politica. Si pongono le basi per la creazione del “Consorzio per la reindustrializzazione dell’area di Arese” (Craa) e il “Consorzio di ricerca per vetture a bassa emissione” (che avrà poi sede nel capannone numero 10 dell’Alfa). Intanto un accordo aziendale prevede la riduzione del personale di altri 2500 unità. I dipendenti sono poco meno di 10mila. La Fiat ed il governo puntano sull’auto ecologica e su un sistema di ricerca che favorisca lo sviluppo di tecnologie a favore di questo settore.


Continuano i provvedimenti istituzionali che cercano di favorire lo sviluppo di quest’area.

Il 15 novembre viene approvata la legge regionale n.30/94 che, in sostanza concede ingenti finanziamenti alle aree industriali considerate dismesse. Le imprese interessate allo sviluppo dell’area di Arese potranno, perciò, godere di grandi finanziamenti regionali per le loro attività imprenditoriali di reindustrializzazione. L’entità della somma, erogata dalla Regione si aggira intorno ai sei miliardi di lire (nota 5).

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nota 5: delibera del 7 marzo 1995


1996
Dal 1994 al 1998 si sono susseguiti ben nove provvedimenti istituzionali (tra leggi regionali, accordi di programma e sindacali) che non hanno però sortito gli effetti desiderati.
La Fiat si impegna, mediante l’accordo firmato con il Governo presso il Ministero del Lavoro il 26 giugno, a mantenere uno stabilimento di auto sportive (spider) di Marchio Alfa Romeo Uno, uno stabilimento di produzione motoristica (motore 6 cilindri) e un Centro Tecnico (che comprende il Centro Stile, Progettazione e Tecnologie e costruzioni sperimentali).
I dipendenti dell’Alfa sono 5400 e i capannoni si stanno svuotando molto rapidamente. L’accordo di programma: datato 31 luglio 1996 e firmato da Fiat e Governo allunga i termini di scadenza per le produzioni di vetture elettriche, ibride e a metano. Nessuna scadenza di quelle previste in tale accordo è stata rispettata. Il 28 febbraio si costituisce il consorzio Craa (consorzio per la reindustrializzazione dell’area di Arese). Il 31 luglio diventa effettivo anche il “Consorzio di ricerca” che, contestualmente alla sua attività, crea la piattaforma per lo sviluppo di modelli di “veicoli a minor impatto ambientale” (Vamia). Si calcola che i finanziamenti per questo progetto ammontino a 30 miliardi di lire (nota 6).

Intanto gli in investimenti statali per l’auto elettrica “si spostano a Napoli e a Torino” (nota 7), invece che ad Arese. Chissà perché.

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nota 6: Fonte Slai Cobas
nota 7: Intervento in parlamento dell’onorevole Cinzia Malavenda 15/11/96


1997
Durante il corso dell’anno scatterà la cassa integrazione a “zero ore” per altri 1400 dipendenti in esubero. La nuova configurazione della Fiat Auto nel comprensorio di Arese comporta il mantenimento di un livello occupazionale pari a 4 mila addetti conseguentemente alla cessazione delle produzioni del modello Alfa 164 e del motore 4 cilindri.
Si inaugura il già finanziato programma Vamia, per la produzione di vetture a minor impatto ambientale (auto elettriche a gas naturale ed ibride). Fiat Auto apre un Call Center ad Arese (poi si chiamerà In Action):i primi servizi erogati sono Customer Care e gestione delle Garanzie Contrattuali.

Prende piede il “piano arrocco” che dovrebbe favorire l’insediamento di altre imprese nell’area dell’Alfa di Arese.

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1998
Per la metà dei dipendenti in cassa integrazione dal 1997 si dispone un accompagnamento alla pensione, i più giovani invece “costituiscono una eccedenza strutturabile non riassorbibile (180 persone), a questi Fiat pagherà 75 milioni di lire a titolo di incentivo all’esodo” (nota 8).
Intanto le prime aziende pioniere cominciano a fare capolino, all’interno dell’area di Arese, anche se la loro presenza non si tramuta in posti di lavoro per i dipendenti in attesa di ricollocamento. (Rotamfer, Caris, Inox Center, Italsider acciai e Brb, quest’ultima non si è mai realmente insediata ad Arese).
Qualcuno prova ad essere ottimista. Qualcuno no e si chiede come sia possibile ricollocare degli operai metalmeccanici in aziende che non hanno nulla a che vedere con la meccanica e con i metalli. Qui il lavoro sindacale si fa controverso.
I sindacati autonomi lottano affinché i loro assistiti non cedano alle proposte di queste aziende in quanto le ritengono squalificanti e sconvenienti. Altri sindacati, invece, scelgono la via della trattativa.

nota 8: Pietro Ichino, “A che cosa serve il sindacato”, 2005

1999
Le immatricolazioni delle vetture prodotte ad Arese subiscono un calo del 23% per quanto riguarda l’Europa e del 37% in Italia.

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2000
Fiat decide di cessare la produzione di auto sportive a apre una procedura di licenziamento per 650 dipendenti e si concorda, con l’accordo di programma firmato nel mese di maggio, provvedimenti di mobilità per altri 160.
Il nuovo millennio inaugura, oltre all’ondata di licenziamenti, la stagione di una nuova proprietà. Ai sindacati autonomi comincia ad apparire chiaro il progetto di Fiat di disfarsi dell’Alfa di Arese.
Fiat vende, attraverso due società da lei controllate, Segepark e Belfiore s.p.a. la quasi totalità delle aree all’interno del comprensorio a Immobiliare Estate sei, società bresciana a capo della quale sta Riccardo Conti, onorevole dell’Udc. La somma che la società bresciana versa nelle casse della Fiat (tramite le società veicolo) è di 500 miliardi di lire (nota 9).
L’area più estesa dello stabilimento (650mila mtq)viene acquistata da Aig Lincoln, la seconda compagnia di assicurazioni americana. Grazie ad una joint venture con Estate sei il polo logistico prenderà il nome di Alfa Business Park (Abp) dove la compagnia assicurativa americana deterrà il 70% e il restante 30% sarà la quota della società italiana. Quest’area, verrà chiamata “polo logistico” in quanto avrebbe dovuto fungere da centro di smistamento di merci in appoggio all’aeroporto di Malpensa e della fiera (che allora era solo sulla carta) di Rho- Pero. I sindacati si opporranno a questa scelta in quanto affermano che “questo progetto è estraneo alla vocazione industriale ad alta qualificazione tecnica” di Arese.
I palazzi del centro tecnico e direzionale sono, invece, stati venduti alla compagnia tedesca Munich Re.
A fine anno viene chiusa anche la produzione delle vetture spider.

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nota 9: Fonte La Padania 22 novembre 2002

2002
La produzione delle auto Vamia (in forte crisi) viene trasferita a Torino, la produzione motori, invece, viene del tutto smantellata. Nello stesso anno il progetto del Governo e della Fiat (non è mai uscita dalla stanza dei bottoni di Arese) è quello di ricollocare tutti i 1023 lavoratori in cassa integrazione straordinaria. I dipendenti dell’Alfa sono 2300. In data 5 dicembre la Presidenza del Consiglio dei Ministri emette un accordo di programma nel quale riconosce lo “stato di crisi” della Fiat, autorizzando finanziamenti e provvedimenti che contribuiscano allo sviluppo e il rilancio della Fiat Auto. Per lo stabilimento di Arese si promette che, oltre al presidio tecnologico, “saranno occupati nell’area circa 2000 lavoratori di Fiat Auto, di società del Gruppo Fiat e di aziende già allocate nel Craa”. Promesse.
Le trattative vivono, dopo il 2002, una netta battuta d’arresto. I sindacati insorgono e organizzano più di 30 blocchi stradali che molti automobilisti probabilmente ricorderanno (l’arteria più colpita è la Milano-Laghi che costeggia lo stabilimento) nel giro di un biennio. Vengono messi in cassa integrazione altri 550 dipendenti.

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2003
Grande svolta all’inizio dell’anno: il 27 febbraio la Regione Lombardia, la Provincia e i Comuni interessati (Arese, Garbagnate, Rho e Lainate) firmano un accordo che prevede la creazione di un “Polo della mobilità sostenibile”. La Regione commissiona all’Enea uno studio di pre-fattibilità del Polo della Mobilità.
Si può fare.
Il progetto prevede l’insediamento, nelle aree dimesse dell’Alfa, di strutture di ricerca per sistemi di mobilità urbana alternativa.

Intanto la produzione di automobili Alfa dà l’addio ufficiale allo stabilimento di Arese. La produzione è trasferita allo stabilimento di Pomigliano d’Arco, ad Arese resta soltanto la progettazione.

Durante un incontro al ministero del Lavoro, Fiat e Cgil, Cisl e Uil hanno firmato un' intesa sul prolungamento, per le 550 tute blu in cassa integrazione dal 2002, che potranno contare sull'ammortizzatore sociale fino al 31 dicembre 2004. La promessa è che, dopo quella data i lavoratori dovrebbero essere ricollocati nelle nuove aziende che si insedieranno nell' area ex Fiat.

Il 26 luglio il Tribunale di Milano ha emesso un decreto contro la Fiat per attività antisindacale, ordinando la sospensione della cassa integrazione ad Arese e il ripristino della produzione dei veicoli a minor impatto ambientale. (Vamia).
Il giudice del lavoro Riccardo Attanasio motiva il provvedimento con “la mancata preventiva informazione sul trasferimento della produzione Vamia ad altri stabilimenti del gruppo”. La Fiat, perciò, dovrà rimborsare gli stipendi non versati e il reintegro dei 1023 dipendenti in cassa integrazione. (dei quali 300 in cassa integrazione lunga 7 anni).
Qui la vicenda si tinge di giallo. I lavoratori scopriranno che, di fatto, sarà impossibile per loro tornare al lavoro.
Una settimana prima di questo provvedimento ad Arese si sono presentate le ruspe. Di certo non hanno bussato prima di entrare. Le catene di produzione sono state completamente distrutte insieme a “macchinari e impianti utilizzabili e vendibili, non certo da rottamare” (nota 10) assicura la Fiom. I sindacati reclamano anche la violazione della privacy, dato che questa azione distruttiva ha colpito anche gli armadietti dei dipendenti, distruggendoli e mostrandone, perciò, il contenuto. Questa vicenda, dai lati decisamente oscuri, non è mai stata approfondita abbastanza né in sede mediatica ne in quella giudiziaria.

nota 10: http://www.corriere.it/Primo_Piano/Economia/2003/07_Luglio/26/arese.shtml

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2004
Il progetto del “polo logistico” (da non confondere con il polo della mobilità sostenibile) comincia a diventare effettivo. Il 14 aprile Regione, Comuni e imprese proprietarie dell’area firmano un accordo di programma per la realizzazione di un “polo di interscambio merci” da insediarsi nei 650mila mtq dell’area di Abp. Anche in questo caso si ventilano prospettive incoraggianti per i lavoratori: l’impegno delle parti in causa è quello di offrire 550 posti di lavoro per gli ex dipendenti dell’area.
Lo spettro della speculazione comincia, però, a materializzarsi sull’area di Arese. Immobiliare Estate Sei diventa Duema a capo della quale vi è Marco Brunelli proprietario gruppo Finiper (Iper, Gs e Unes).

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2005
Rimangono soltanto gli enti centrali di Fiat Auto (Powertrain), il centro stile e di progettazione. La presenza di Fiat si limita ad un solo capannone dell’area di Arese (n.10).
Nota positiva: 100 lavoratori ex-alfa sono stati ricollocati nelle aziende municipalizzate di Milano come promesso. Il consorzio C.r.a.a. si perde per strada, e per i dipendenti non si fa altro che prorogare di anno in anno la cassa integrazione. Il porto di Genova propone 500 milioni di euro per creare una banchina del porto all’interno dell’area ex-Alfa. L’idea è quella di creare una postazione che serva da supporto logistico all’attività commerciale del porto ligure. I sindacati rifiutano: “vogliamo il polo dell’auto” (nota 11). Anche la Tvr, azienda inglese che assembla componenti per automobili di lusso, sembra interessata ad investire su quest’area: dichiara di poter assumere 115 dipendenti.

nota 11: Corriere della Sera 16/3/2005

 

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Oggi
La Regione Lombardia il 3 aprile dichiara: “E' stato firmato da Sviluppo Italia il contratto per l'acquisto di parte delle aree ex Alfa Romeo su cui si insediera' il Polo per la Mobilita' Sostenibile, che portera’ ad Arese imprese e centri di ricerca attivi nell'ambito delle tecnologie eco-compatibili e della mobilita' sostenibile”. Sviluppo Italia ha comprato 70mila mtq dell’area. Vengono promessi 270 posti di lavoro.
Il 6 aprile presso il ministero del Welfare viene firmato un accordo tra Governo, sindacati e azienda nel quale si prevede una proroga di un anno della cassa integrazione per 377 operai di Arese. E’ il quarto anno di proroga della cassa integrazione. Nel frattempo nella zona Abp si sono insediate aziende come la Pirelli (la quale per il momento si limita a ristrutturare i capannoni ad essa destinati: 8.590 mtq), la Fiege multinazionale austriaca della logistica (occupa 8mila mtq ed è stata oggetto di recenti attacchi in quanto vorrebbe assumere soltanto lavoratori precari, strategia che non rispetta gli accordi del 2003 per il ricollocamento dei dipendenti ex Alfa) e Futura, azienda che confeziona cialde per la Lavazza che si è aggiudicata 17mila mtq del polo logistico. Per il momento non è dato sapere se queste aziende hanno assunto dipendenti dell’ex stabilimento dell’Alfa.

La struttura odierna dello stabilimento è composta da tre aree principali:
• l’area Abp di 650 metri quadri (polo logistico) all’interno della quale si sono insediate le aziende citate.
• L’area acquistata (70mila mtq) da Sviluppo Italia e per la quale siamo in attesa del polo della mobilità sostenibile e di progetti concreti. All’interno di quest’area resistono i pochi centri attivi Fiat (direzionale, progettazione e Powertrain e call center In Action)
• L’area che appartiene a Duema (ex estate sei) che oggi è vuota.

Di sicuro ci sono solo i numeri.

Le persone che tuttora lavorano in questo stabilimento sono 770 di cui 490 in Fiat auto 200 in Powertrain e 80 nei servizi vari (non consideriamo i dipendenti del call center in-Action). In cassa integrazione straordinaria ci sono ancora 489 lavoratori di cui 370 di Fiat Auto, per i quali il Governo ha concesso la proroga per il quarto anno, 114 di Powertrain e 5 di Purchasing (acquisti).
Molti dipendenti sono in cassa integrazione da 4 anni a 550 euro al mese.

A giudicare dai risultati si direbbe che l’obiettivo di Fiat e Governo, in questi anni, sia stato quello di smantellare questa sede produttiva e non il contrario. Ora c’è chi sospetta che l’intenzione della proprietà sia quella di cambiare la destinazione d’uso dell’area per trasformarla ad uso commerciale. Pare, però, che i Comuni interessati (ai quali spetta la decisione) tengano duro.
Intanto scattano le prime perquisizioni da parte della Guardia di Finanza all’interno dell’inchiesta sul fallito piano di reindustrializazzione dell’area: Le Fiamme Gialle si sono presentate con un “ordine di esibizione di documenti nelle sedi della Fiat a Torino, della Regione Lombardia e del consorzio pubblico-privato Craa” (nota 12).
Tante domande ma poche risposte, ma soprattutto pochissimi passi concreti.
Delle promesse della Regione nessuna si è tramutata nella creazione di posti di lavoro per gli ex-dipendenti Alfa.

Non solo i dipendenti Alfa sono stanchi di aspettare, paradossalmente (o è un segnale importante che ci fa capire tante cose?) anche le società che dovrebbero investire minacciano di dire addio agli affari nell’area di Arese: «Qui è impossibile lavorare - dice sfiduciato Miles Jones, amministratore delegato di Aig Lincoln Italia -abbiamo già perso molto tempo per cercare di realizzare il nostro business park: se non ci sono le condizioni, allora è inutile andare avanti (nota 13)» e ancora : « O il polo della mobilità sostenibile parte al più presto, o saremo costretti a rinunciare ad Arese » dichiara un portavoce di Tvr . Chi avrà l’interesse nel tenere lontano gli investitori da quest’area?


Se facessimo qualche semplice (e semplicistico) esercizio di sottrazione scopriremmo che dal 1994, data dei primi accordi istituzionali per la reindustrializzazione dell’area, ad oggi l’azienda è passata da 10mila dipendenti (e se torniamo al 1986, data dell’avvento della Fiat erano 16mila) a soli 770. Risultato: migliaia di dipendenti licenziati o messi in mobilità. E ancora oggi non vi è nessuna prospettiva concreta.

Se questa è reindustrializzazione.

27 luglio 2006

Andrea Trentini

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nota 12: Corriere della Sera 21 aprile 2005

nota 13: Corriere della Sera 24 febbraio 2006

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il primo Protocollo di intenti tra Fiat e il Governo
Sfogliando articoli del protocollo, formalizzato presso la Presidenza del Consiglio, si legge che quest’ultimo prevede “la realizzazione di un programma per la ricerca e lo sviluppo di veicoli innovativi a basso impatto ambientale, mirato alla produzione di veicoli a emissione zero ed a ridotto inquinamento acustico per trasporto privato, collettivo e di merci”.
Tale programma sarebbe finalizzato a “contribuire in modo efficace il miglioramento delle condizioni ambientali ed è inoltre finalizzato a consentire lo sviluppo di una domanda nazionale e internazionale di buone dimensioni (parliamo di veicoli a basso impatto ambientale) aprendo prospettive di produzione consistenti”. Fiat si impegna inoltre a svolgere, all’interno dello stabilimento di Arese, e di concerto con Enti pubblici e privati, attività di ricerca e di sviluppo, ponendo anche le scadenze per la data d’inizio della produzione di vetture elettriche e a metano. A dodici anni da questo accordo dobbiamo registrare il fallimento di questo progetto. Questo nuovo tipo di vetture e tutto l’indotto tecnologico non è affare da poco. E’ impresa ardua creare a tavolino, nel giro di pochi anni, un mercato così sconvolgente dal punto di vista economico e sociale.
E’ lecito, perciò, storcere il naso davanti a questo tipo di accordo. Ci si chiederà come fosse possibile, all’inizio degli anni ’90, credere davvero che un progetto del genere avrebbe potuto realizzarsi. L’impressione è che Fiat, avendo grande potere occupazionale, tenesse in scacco il Governo, posizione dalla quale poteva permettersi di sottoscrivere accordi del genere che garantissereo finanziamenti per progetti che, eufemisticamente parlando, definiremmo difficilmente concretizzabili. “Io ti assicuro il lavoro per i tuoi cittadini, ma tu, in cambio, mi dai tutte le garanzie e gli aiuti necessari (e anche di più) affinchè io possa continuare a svolgere il mio lavoro”.

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legge regionale n.30/94
La legge regionale n.30 approvata il 15 novembre del 1994 promuove gli interventi di recupero e riqualificazione di aree industriali dismesse (il governo era impegnato a far riconoscere dall’Unione Europea l’area di Arese come area industriale dimessa) regola i finanziamenti erogabili per queste operazioni e ammette la creazione di società specializzate con le quali la Regione può effettuare delle convenzioni per favorire la reindustrilizzazione dell’area.

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Craa (consorzio per la reindustrializzazione dell’area di Arese)
Il consorzio di ricerca, rivolto in via prioritaria allo sviluppo e all'innovazione nel campo delle vetture a ridotta emissione, è stato costituito in data 31 luglio 1996, contestualmente alla firma dell'accordo di programma tra Governo e società Fiat. In detto accordo di programma è specificato che la Fiat si impegna ad avviare l'attività produttiva di vetture a ridotto impatto ambientale nell'area di Arese compatibilmente al raggiungimento di adeguati volumi di domanda, ed il Governo, parimenti, si impegnava a predisporre le misure e gli interventi idonei a favorire la diffusione di veicoli produttivi ecologici e, pertanto, a costituire il presupposto dell'avviamento produttivo con specifiche norme dispositive entro il 31 dicembre 1996. La durata del consorzio è di 5 anni ma dovrà essere prorogata fino al completamento delle attività di ricerca previste dall’Accordo di Protocollo.

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Consorzio di ricerca
Il consorzio di reindustrializzazione, dotato di due miliardi di capitale, è finalizzato alla promozione dell'insediamento di attività produttive nel comprensorio di Arese. E’ partecipato al 30 per cento da Fiat Auto, al 15 per cento dalla Finlombarda Spa, al 15 per cento da BIC Lombardia Spa, al 10 per cento dalla provincia di Milano, al 10 per cento dalla camera di commercio di Milano ed al 20 per cento dalle amministrazioni comunali che insistono sul suddetto comprensorio (Arese, Bollate, Garbagnate, Lainate e Rho). Molti hanno espresso forti dubbi sull’efficienza del lavoro di tale consorzio.

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piano arrocco

“Tale piano – risponde alla Camera, in data 16/7/97, Salvatore Ladu - è finalizzato a rendere disponibili le aree per le attività coordinate dal C.r.a.a. attraverso la realizzazione di un processo di riallocazione e concentrazione delle attività industriali di Fiat Auto meccanica e carrozzeria nel comprensorio di Arese”.
Al termine di tale processo (entro il 1998), l'area resa disponibile da Fiat Auto per le attività coordinate dal C.r.a.a. ammonterà complessivamente a 900 mila metri quadri di cui 380 mila coperti. La realizzazione del piano di «arrocco» comporterà un programma di investimenti di circa 112 miliardi, rispetto ai circa 60 previsti nell'accordo del 28 giugno 1996, da completarsi entro il 1999.

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Polo della mobilità sostenibile
Il “Polo della Mobilità sostenibile” (Pms) infonde una buona dose di ottimismo per il futuro dell’area.
La Regione Lombardia commissiona all’Enea (ente per le nuove tecnologie, l‘energia e l’ambiente) uno studio di prefattibilità del progetto “Polo della mobilità sostenibile”.
“Il progetto costituisce la risposta in positivo alla crisi dell’insediamento industriale Fiat -Alfa-Romeo di Arese - si legge nel comunicato di presentazione del progetto da parte dell’Enea - così come è stata elaborata dalla Regione Lombardia di concerto con le Organizzazioni Sindacali (accordo del 27 Febbraio 2003) , con le Amministrazioni comunali competenti e le società proprietarie delle aree (Protocollo di intesa del 28 Luglio 2003, accordo di programma del 13 Aprile 2004)”.
Questo progetto si ripropone di individuare le possibili soluzioni alla crisi ambientale in Lombardia, riqualificare il sistema industriale lombardo, riposizionare l’impegno della ricerca avanzata nel settore della mobilità e collocare la Lombardia nel piano strategico dell’Unione Europea incentrato sull’impiego dell’idrogeno come vettore energetico del futuro. “ci si è mossi per mantenere l'integrità dell'area, per aggiornarne la vocazione automotive e per non cedere quindi a tentazioni che ne favorissero la frammentazione” si legge sul sito internet che l’Enea dedica al progetto .
Il gruppo di lavoro, costituito da 36 ricercatori, ha lavorato per due anni (coordinati Mario Agostinelli) alla fine dei quali hanno potuto divulgare un rapporto che esprimeva parere positivo per quanto concerne la fattibilità del progetto. La sede nella quale si sarebbe dovuto insediare il Pms è la zona del cosiddetto “piano arrocco” di proprietà di Estate sei.
A tre anni dall “approvazione” da parte Enea non c’è ancora l’ombra di un polo della mobilità nell’area di Arese.
“La Regione non lo ha mai divulgato, quando sono stato eletto consigliere regionale nessuno ne sapeva nulla” dichiarerà tre anni più tardi Agostinelli.
Forse quel rapporto, l’unico prodotto che permetteva di guardare con un certo ottimismo sul futuro dell’area, sta ancora chiuso in qualche cassetto ai piani alti del Pirellone.

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