
Storia
di un declino industriale
“Quando
vedo passare un’Alfa mi tolgo il cappello.”
(Henry Ford)
Il
contesto - La crisi dell’industria milanese - La
storia dell'Alfa di Arese - C'era una volta una grande
azienda - cronologia di un declino - Le tappe:
1986 - 1988 -
1989 - 1994 - 1996
- 1997 - 1998 - 1999
- 2000 - 2002 - 2003
- 2004 - 2005 - Oggi

Il
contesto - La crisi dell’industria milanese
La
crisi del settore industriale è uno dei fattori che negli ultimi
anni hanno contribuito a portare l’Italia sulla soglia della crescita
zero. A Milano e in Lombardia questo fenomeno si è registrato
con netto anticipo e in termini decisamente marcati. Fin dagli anni
’80 (periodo che curiosamente coincide con il “disimpegno” da parte
dello Stato in molte aziende partecipate), nel milanese, le imprese
di ogni settore e dimensione sono entrate in una profonda crisi strutturale.
Molteplici sono i macro-fenomeni che negli anni successivi hanno aggravato
tale situazione (e ne sono, in parte, anche la causa): la delocalizzazione
dell’attività manifatturiera a basso valore aggiunto verso i
paesi dell’Est mondiale, dove i costi di produzione sono infinitamente
minori, il grande numero di “imprese familiari” che non favoriscono
la dinamicità della nostra economia, la cosiddetta “fuga dei
cervelli” all’estero, cosa che ha penalizzato notevolmente le sorti
(già abbondantemente compromesse) della ricerca in Italia e il
nanismo industriale sono i principali fattori che determinano la crisi.
Le grandi imprese motori dell’economia nazionale (quelle perciò
che anticipano tutti i cambiamenti di ordine internazionale) cominciano
a chiudere i battenti: Falck, Magneti Marelli, Ansaldo e Breda lasciano
il posto ad aziende informatiche e di comunicazione con potere occupazionale
decisamente inferiore. Dagli anni ’90 ad oggi la situazione non ha subito
sostanziali modifiche (a parte la fugace bolla della new economy, scoppiata
dopo poco). Tra i casi più eclatanti Ibm Italia, azienda di 8000
dipendenti (di cui 2.600 a Milano) ha dovuto affrontare il licenziamento
di 1000 lavoratori e STMicroelectronics, multinazionale italo-francese
leader nella produzione di chip elettronici, che dovrà separarsi
da 3000 lavoratori in Europa (nel nostro Paese gli esuberi sono previsti
nel numero di 990). Nel 2004 (nota 1)in Lombardia
8.015 lavoratori sono stati messi in cassa integrazione e il ricorso
alla mobilità ha interessato più di 21.145 lavoratori.
Ultimamente grosse aziende come la Candy e la Siemens si trovano in
condizioni di forte crisi e sono costrette a delocalizzare e a prendere
provvedimenti di mobilità nei confronti dei propri dipendenti.
La crisi dell’industria nel milanese è palese e il caso dell’Alfa
di Arese ne è la dimostrazione storica più lampante, la
più controversa e di sicuro la più complessa.
nota 1: Dati Fiom, 2005
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La storia dell’Alfa di Arese
Le
origini dell’Alfa (Anonima Lombarda Fabbrica Automobili) risalgono al
1910, quando 250 dipendenti producevano 300 automobili al giorno nello
stabilimento di Portello, alle porte di Milano.
Nel 1915 l’Alfa viene interessata alle commesse militari ed entra nell’orbita
delle società controllate da Nicola Romeo, industriale partenopeo.
Da questo momento il settore corse, verso il quale l’azienda si stava
dirigendo con buoni successi, viene messo da parte per direzionare l’azienda
milanese nelle commesse militari nelle quali le aziende di Romeo erano
impegnate. Il nome dell’industriale napoletano comparirà alla
fine della seconda guerra mondiale formando così il marchio Alfa
Romeo.
Con gli anni Venti l’azienda riprenderà a competere nel settore
corse (nel 1929 questo settore di attività verrà separato
ufficialmente, da qui nascerà la scuderia Ferrari) e la produzione
industriale fortifica i suoi primi successi imponendosi anche sul mercato
internazionale. Il gusto nella guida diventa una passione prepotente
e un vero “status symbol”. Ci si comincia a interessare alla produzione
di serie.
Nel
1932 l’I.r.i. (Istituto per la Ricostruzione Industriale) diventa proprietario
dell’Alfa e annuncia il ritiro dalle competizioni (le rosse milanesi
continueranno a correre sotto il segno del cavallino della Scuderia
Ferrari, che continuerà a rappresentare l’Alfa nelle gare). La
produzione, intanto, si estende anche a camion e autobus. Negli anni
’50 l’Alfa Romeo si lancia nella produzione in serie: sono gli anni
di maggior splendore della casa milanese. Si inaugura la catena di montaggio.
Nel
1960 cominciano i lavori per la costruzione dello stabilimento di Arese,
che entra in funzione nel 1963.
Il
marchio Alfa Romeo diventa simbolo del Made in Italy, la qualità
e l’affidabilità dei suoi prodotti la rendono famosa in tutto
il mondo. Numerose star dell’epoca si divertono a posare e farsi fotografare
al volante delle Alfa, (operazione di immagine che conviene ad entrambi)
marchio che, in quel periodo era sinonimo di successo e prestigio sociale.
La
prima vettura prodotta ad Arese è la Giulia che vende oltre un
milione di copie nelle diverse versioni.
Gli
anni ’70 passano con qualche sussulto, ma gli anni ’80 costituiscono
il vero periodo di crisi della azienda del biscione. Le partecipazioni
statali nella grande industria diminuiscono e l’Alfa, gestita dall’Iri,
ne risente. Nei primi anni ottanta la produttività è in
calo preoccupante.
Il
1986 è una data storica per la azienda la Fiat diventa proprietaria
di Alfa Romeo.
Finmeccanica (La Società costituita dall'Iri per gestire le partecipazioni
nell'industria meccanica e cantieristica acquisite nei primi 15 anni
di vita dell'IRI) cede l’Alfa Romeo alla Fiat per 1700 miliardi, si
dice, però, che lo Stato non abbia mai incassato questa somma.
L’Alfa verrà concentrata con Lancia e fondando un raggruppamento
chiamato “Alfa Lancia S.p.a.”.
Nel
1989 anche il centro produzione stile si trasferisce nello stabilimento
di Arese. Le cose, però, cominciano ad andare storte.
Da allora l’azienda ha conosciuto un periodo di inesorabile declino,
si sono susseguiti “ridimensionamenti aziendali” e procedimenti di mobilità
per i lavoratori, tanto da falcidiare i dipendenti dell’Alfa di Arese,
dai 16mila del 1986 (nel 1982 erano 18mila) ai quasi 800 di oggi. Si
sono chiuse aree produttive e persino distrutti macchinari tanto da
impedire lo svolgimento del lavoro. Sono stati anni di promesse non
mantenute, accordi non rispettati e di difficili dialoghi istituzionali.
I sindacati hanno avuto una parte importante nella vicenda, da molti
fortemente discussa, la loro è, comunque, una presenza costante
nelle trattative per i lavoratori di Arese. Nel 2000 la Fiat ha venduto
lo stabilimento ad una società bresciana di nome Immobiliare
Estate Sei e alla società di assicurazioni americana Aig Lincoln.
I dipendenti
dell’Alfa di Arese, a vent’anni dall’avvento della Fiat e dai primi
provvedimenti di mobilità e di lento smantellamento, non hanno
visto ancora esaudito il loro desiderio, nonché diritto, di chiarezza
sul loro futuro (per chi non ha già perso il lavoro). Evidentemente
la politica della Fiat non è stata quella di puntare sullo sviluppo
dello stabilimento lombardo e la Regione non ha saputo fare nulla di
concreto per proteggere i lavoratori di questo importante polo industriale.
E le vicende che si sono susseguite con l’avvento dei nuovi proprietari
non hanno contribuito a creare posti di lavoro in numero significativo
per i dipendenti ex-Alfa.
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C’era una volta una grande azienda
Cronologia di un declino
La
fabbrica come un piccolo mondo, dove si svolge la vita di migliaia di
lavoratori (l’Alfa contava 16mila dipendenti, non è forse la
popolazione di un intero paese?): otto ore al giorno per una vita è
la vita stessa.
“Per
me era come entrare in paradiso, mi trovavo in una fabbrica gigantesca,
con una vita interna incredibile. La fabbrica mi ha insegnato ad essere
una persona migliore, ho insegnato ai miei figli a non abbassare mai
la testa” (nota 2). Era il 1972. Carmela Tassone
ha lavorato una vita nell’Alfa di Arese.
Le teste di molti lavoratori da allora si sono dovute, purtroppo, abbassare
ai provvedimenti dell’azienda.
Come racconta Mario Agostinelli (nota 3) “C'era
un tempo in cui in fabbrica entrava il grande Eduardo De Filippo e c'era
un tempo in cui il popolo operaio, con il vestito della festa, varcava
insieme a tutta la famiglia la soglia del grande capannone 6 per andare
a teatro. È accaduto molti anni fa, all'inizio degli anni 80,
all'Alfa di Arese” (nota 4). Erano gli anni dove
il consiglio di fabbrica era costituito da 400 dipendenti. Questo accadeva
fino al 1986, anno in cui l’azienda viene “acquistata” dalla Fiat. Chi
avrebbe potuto immaginare che, mentre le automobili del biscione erano
simbolo di stile e di qualità in tutto il mondo, in Italia la
fabbrica che produceva le mitiche Alfa di lì a poco si sarebbe
sgretolata pezzo per pezzo?
La fabbrica controllata dall’I.r.i. (tramite Finmeccanica), viene acquistata
dalla società della famiglia Agnelli, preferita a Ford che, sebbene
avesse presentato un’offerta decisamente più vantaggiosa per
le casse dello stato, ha commesso il fatale (diventato poi pretestuoso
ai fini della preferenza per Fiat) errore di ammettere fin dall’inizio
la necessità di ridurre il personale. Forse la Fiat pensava di
poter dirigere questa azienda con il massimo dell’efficienza senza ridurre
l’organico. Bisogna anche considerare che ai tempi in cui la Fiat prende
possesso dello stabilimento si assicura un marchio di primo piano nel
mercato continentale. Negli anni ottanta il mercato dell’automobile
era molto diverso da quello odierno: la concorrenza internazionale era
molto meno agguerrita, non si era ancora verificato l’avvento delle
case automobilistiche orientali, ad esempio, e Audi e non era la casa
di produzione di successo di oggi. Questo avrebbe dovuto essere un elemento
a favore dell’Alfa, che godeva già di ottime credenziali nel
mercato internazionale, ma evidentemente il management della casa torinese
non ha saputo sfruttare questo vantaggio.
nota 2: http://www.lomb.cgil.it/puntof2002/21_06_02alfa.htm
nota 3: Ex segretario
Cgil Lombardia e attuale consigliere regionale
nota 4: http://www.ilponte.it/arese.html
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Le tappe
1986
Al momento in cui Fiat acquista dall’I.r.i lo stabilimento dell’Alfa
Romeo di Arese sono 16mila i dipendenti impiegati in
questa azienda. 1700 sono, invece i miliardi che Fiat avrebbe pagato
per l’acquisto. Varie fonti esprimono forti dubbi sul reale versamento
di questo denaro nelle casse dello Stato. Appena insediata nello stabilimento
lombardo la Fiat comincia a mettere i dipendenti in cassa integrazione
(a fine anno sono 6000 i dipendenti messi in cassa integrazione
a “zero ore”).
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1988
Il bilancio annuale si conclude con un segno positivo: le vendite danno
buoni risultati, grazie al successo del nuovo modello “Alfa 164” e la
produttività aumenta tanto da permettere, per alcuni, l’azzeramento
della cassa integrazione entro la fine dell’anno.
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1989
La Regione e il Giudice Amministrativo accolgono il ricorso presentato
da un gruppo di cittadini di Arese, costituitisi in comitato, e impongono
la riduzione dell’attività del reparto verniciatura da 800 a
400 vetture al giorno. Il reparto produzione ne risente.
Comincia una fase di drastica riduzione dei dipendenti
che continuerà per tutta la decade a venire.
Qualcuno comincia ad interrogarsi sulle reali intenzioni della Fiat
nello sviluppo della produzione in quest’area. Il management Fiat, nonostante
il successo della 164, non vuole più investire sulle auto di
fascia alta, svalutando, di fatto, il marchio Alfa in Italia e all’estero.
La richiesta del mercato si abbassa notevolmente.
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1994
La situazione di stallo si trascina fino al 1994, anno in cui viene
firmato, in data 1 marzo, il primo Protocollo di intenti
tra Fiat e il Governo: lo Stato viene ancora in aiuto della casa
torinese.
La crisi non è più arginabile con i mezzi propri della
azienda della famiglia Agnelli, ci vuole l’intervento della politica.
Si pongono le basi per la creazione del “Consorzio per la reindustrializzazione
dell’area di Arese” (Craa) e il “Consorzio di ricerca per vetture a
bassa emissione” (che avrà poi sede nel capannone numero 10 dell’Alfa).
Intanto un accordo aziendale prevede la riduzione del personale
di altri 2500 unità. I dipendenti sono poco meno di
10mila. La Fiat ed il governo puntano sull’auto ecologica e su un sistema
di ricerca che favorisca lo sviluppo di tecnologie a favore di questo
settore.
Continuano i provvedimenti istituzionali che cercano di favorire lo
sviluppo di quest’area.
Il
15 novembre viene approvata la legge regionale
n.30/94 che, in sostanza concede ingenti finanziamenti
alle aree industriali considerate dismesse. Le imprese interessate allo
sviluppo dell’area di Arese potranno, perciò, godere di grandi
finanziamenti regionali per le loro attività imprenditoriali
di reindustrializzazione. L’entità della somma, erogata dalla
Regione si aggira intorno ai sei miliardi di lire (nota
5).
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nota 5: delibera del 7 marzo 1995
1996
Dal 1994 al 1998 si sono susseguiti ben nove provvedimenti istituzionali
(tra leggi regionali, accordi di programma e sindacali) che non hanno
però sortito gli effetti desiderati.
La Fiat si impegna, mediante l’accordo firmato con il Governo presso
il Ministero del Lavoro il 26 giugno, a mantenere uno stabilimento di
auto sportive (spider) di Marchio Alfa Romeo Uno, uno stabilimento di
produzione motoristica (motore 6 cilindri) e un Centro Tecnico (che
comprende il Centro Stile, Progettazione e Tecnologie e costruzioni
sperimentali).
I dipendenti dell’Alfa sono 5400 e i capannoni si stanno
svuotando molto rapidamente. L’accordo di programma: datato 31 luglio
1996 e firmato da Fiat e Governo allunga i termini di scadenza per le
produzioni di vetture elettriche, ibride e a metano. Nessuna scadenza
di quelle previste in tale accordo è stata rispettata. Il 28
febbraio si costituisce il consorzio Craa (consorzio
per la reindustrializzazione dell’area di Arese). Il 31
luglio diventa effettivo anche il “Consorzio
di ricerca” che, contestualmente alla sua attività,
crea la piattaforma per lo sviluppo di modelli di “veicoli a minor impatto
ambientale” (Vamia). Si calcola che i finanziamenti per questo progetto
ammontino a 30 miliardi di lire (nota 6).
Intanto
gli in investimenti statali per l’auto elettrica “si spostano a Napoli
e a Torino” (nota 7), invece che ad Arese. Chissà
perché.
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nota 6: Fonte Slai Cobas
nota 7: Intervento in
parlamento dell’onorevole Cinzia Malavenda 15/11/96
1997
Durante il corso dell’anno scatterà la cassa integrazione
a “zero ore” per altri 1400 dipendenti in esubero. La nuova
configurazione della Fiat Auto nel comprensorio di Arese comporta il
mantenimento di un livello occupazionale pari a 4 mila addetti
conseguentemente alla cessazione delle produzioni del modello Alfa 164
e del motore 4 cilindri.
Si inaugura il già finanziato programma Vamia, per la
produzione di vetture a minor impatto ambientale (auto elettriche a
gas naturale ed ibride). Fiat Auto apre un Call Center ad Arese (poi
si chiamerà In Action):i primi servizi erogati sono Customer
Care e gestione delle Garanzie Contrattuali.
Prende
piede il “piano arrocco” che dovrebbe
favorire l’insediamento di altre imprese nell’area dell’Alfa di Arese.
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1998
Per la metà dei dipendenti in cassa integrazione dal 1997 si
dispone un accompagnamento alla pensione, i più
giovani invece “costituiscono una eccedenza strutturabile non riassorbibile
(180 persone), a questi Fiat pagherà 75 milioni di lire a titolo
di incentivo all’esodo” (nota 8).
Intanto le prime aziende pioniere cominciano a fare capolino, all’interno
dell’area di Arese, anche se la loro presenza non si tramuta in posti
di lavoro per i dipendenti in attesa di ricollocamento. (Rotamfer, Caris,
Inox Center, Italsider acciai e Brb, quest’ultima non si è mai
realmente insediata ad Arese).
Qualcuno prova ad essere ottimista. Qualcuno no e si chiede come sia
possibile ricollocare degli operai metalmeccanici in aziende che non
hanno nulla a che vedere con la meccanica e con i metalli. Qui il lavoro
sindacale si fa controverso.
I sindacati autonomi lottano affinché i loro assistiti non cedano
alle proposte di queste aziende in quanto le ritengono squalificanti
e sconvenienti. Altri sindacati, invece, scelgono la via della trattativa.
nota 8: Pietro Ichino, “A che cosa serve il sindacato”,
2005
1999
Le immatricolazioni delle vetture prodotte ad Arese subiscono un calo
del 23% per quanto riguarda l’Europa e del 37% in Italia.
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2000
Fiat decide di cessare la produzione di auto sportive a apre una procedura
di licenziamento per 650 dipendenti e si concorda,
con l’accordo di programma firmato nel mese di maggio, provvedimenti
di mobilità per altri 160.
Il nuovo millennio inaugura, oltre all’ondata di licenziamenti, la stagione
di una nuova proprietà. Ai sindacati autonomi comincia ad apparire
chiaro il progetto di Fiat di disfarsi dell’Alfa di Arese.
Fiat vende, attraverso due società da lei controllate, Segepark
e Belfiore s.p.a. la quasi totalità delle aree all’interno del
comprensorio a Immobiliare Estate sei, società bresciana a capo
della quale sta Riccardo Conti, onorevole dell’Udc. La somma che la
società bresciana versa nelle casse della Fiat (tramite le società
veicolo) è di 500 miliardi di lire (nota 9).
L’area più estesa dello stabilimento (650mila mtq)viene acquistata
da Aig Lincoln, la seconda compagnia di assicurazioni americana. Grazie
ad una joint venture con Estate sei il polo logistico prenderà
il nome di Alfa Business Park (Abp) dove la compagnia assicurativa americana
deterrà il 70% e il restante 30% sarà la quota della società
italiana. Quest’area, verrà chiamata “polo logistico” in quanto
avrebbe dovuto fungere da centro di smistamento di merci in appoggio
all’aeroporto di Malpensa e della fiera (che allora era solo sulla carta)
di Rho- Pero. I sindacati si opporranno a questa scelta in quanto affermano
che “questo progetto è estraneo alla vocazione industriale ad
alta qualificazione tecnica” di Arese.
I palazzi del centro tecnico e direzionale sono, invece, stati venduti
alla compagnia tedesca Munich Re.
A fine anno viene chiusa anche la produzione delle vetture spider.
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nota 9: Fonte La Padania 22 novembre 2002
2002
La produzione delle auto Vamia (in forte crisi) viene trasferita a Torino,
la produzione motori, invece, viene del tutto smantellata. Nello stesso
anno il progetto del Governo e della Fiat (non è mai uscita dalla
stanza dei bottoni di Arese) è quello di ricollocare tutti i
1023 lavoratori in cassa integrazione straordinaria. I dipendenti
dell’Alfa sono 2300. In data 5 dicembre la Presidenza del Consiglio
dei Ministri emette un accordo di programma nel quale riconosce lo “stato
di crisi” della Fiat, autorizzando finanziamenti e provvedimenti che
contribuiscano allo sviluppo e il rilancio della Fiat Auto. Per lo stabilimento
di Arese si promette che, oltre al presidio tecnologico, “saranno occupati
nell’area circa 2000 lavoratori di Fiat Auto, di società del
Gruppo Fiat e di aziende già allocate nel Craa”. Promesse.
Le trattative vivono, dopo il 2002, una netta battuta d’arresto. I sindacati
insorgono e organizzano più di 30 blocchi stradali che molti
automobilisti probabilmente ricorderanno (l’arteria più colpita
è la Milano-Laghi che costeggia lo stabilimento) nel giro di
un biennio. Vengono messi in cassa integrazione altri 550 dipendenti.
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2003
Grande svolta all’inizio dell’anno: il 27 febbraio la Regione Lombardia,
la Provincia e i Comuni interessati (Arese, Garbagnate, Rho e Lainate)
firmano un accordo che prevede la creazione di un “Polo
della mobilità sostenibile”. La Regione commissiona
all’Enea uno studio di pre-fattibilità del Polo della Mobilità.
Si può fare.
Il progetto prevede l’insediamento, nelle aree dimesse dell’Alfa, di
strutture di ricerca per sistemi di mobilità urbana alternativa.
Intanto
la produzione di automobili Alfa dà l’addio ufficiale allo stabilimento
di Arese. La produzione è trasferita allo stabilimento di Pomigliano
d’Arco, ad Arese resta soltanto la progettazione.
Durante
un incontro al ministero del Lavoro, Fiat e Cgil, Cisl e Uil hanno firmato
un' intesa sul prolungamento, per le 550 tute blu in cassa integrazione
dal 2002, che potranno contare sull'ammortizzatore sociale fino al 31
dicembre 2004. La promessa è che, dopo quella data i lavoratori
dovrebbero essere ricollocati nelle nuove aziende che si insedieranno
nell' area ex Fiat.
Il
26 luglio il Tribunale di Milano ha emesso un decreto contro la Fiat
per attività antisindacale, ordinando la sospensione della cassa
integrazione ad Arese e il ripristino della produzione dei veicoli a
minor impatto ambientale. (Vamia).
Il giudice del lavoro Riccardo Attanasio motiva il provvedimento con
“la mancata preventiva informazione sul trasferimento della produzione
Vamia ad altri stabilimenti del gruppo”. La Fiat, perciò, dovrà
rimborsare gli stipendi non versati e il reintegro dei 1023 dipendenti
in cassa integrazione. (dei quali 300 in cassa integrazione lunga 7
anni).
Qui la vicenda si tinge di giallo. I lavoratori scopriranno che, di
fatto, sarà impossibile per loro tornare al lavoro.
Una settimana prima di questo provvedimento ad Arese si sono presentate
le ruspe. Di certo non hanno bussato prima di entrare. Le catene di
produzione sono state completamente distrutte insieme a “macchinari
e impianti utilizzabili e vendibili, non certo da rottamare” (nota
10) assicura la Fiom. I sindacati reclamano anche la violazione
della privacy, dato che questa azione distruttiva ha colpito anche gli
armadietti dei dipendenti, distruggendoli e mostrandone, perciò,
il contenuto. Questa vicenda, dai lati decisamente oscuri, non è
mai stata approfondita abbastanza né in sede mediatica ne in
quella giudiziaria.
nota 10: http://www.corriere.it/Primo_Piano/Economia/2003/07_Luglio/26/arese.shtml
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2004
Il progetto del “polo logistico” (da non confondere con il polo della
mobilità sostenibile) comincia a diventare effettivo. Il 14 aprile
Regione, Comuni e imprese proprietarie dell’area firmano un accordo
di programma per la realizzazione di un “polo di interscambio merci”
da insediarsi nei 650mila mtq dell’area di Abp. Anche in questo caso
si ventilano prospettive incoraggianti per i lavoratori: l’impegno delle
parti in causa è quello di offrire 550 posti di lavoro per gli
ex dipendenti dell’area.
Lo spettro della speculazione comincia, però, a materializzarsi
sull’area di Arese. Immobiliare Estate Sei diventa Duema a capo della
quale vi è Marco Brunelli proprietario gruppo Finiper (Iper,
Gs e Unes).
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2005
Rimangono soltanto gli enti centrali di Fiat Auto (Powertrain), il centro
stile e di progettazione. La presenza di Fiat si limita ad un solo capannone
dell’area di Arese (n.10).
Nota positiva: 100 lavoratori ex-alfa sono stati ricollocati nelle aziende
municipalizzate di Milano come promesso. Il consorzio C.r.a.a. si perde
per strada, e per i dipendenti non si fa altro che prorogare di anno
in anno la cassa integrazione. Il porto di Genova propone 500 milioni
di euro per creare una banchina del porto all’interno dell’area ex-Alfa.
L’idea è quella di creare una postazione che serva da supporto
logistico all’attività commerciale del porto ligure. I sindacati
rifiutano: “vogliamo il polo dell’auto” (nota 11).
Anche la Tvr, azienda inglese che assembla componenti per automobili
di lusso, sembra interessata ad investire su quest’area: dichiara di
poter assumere 115 dipendenti.
nota 11: Corriere della Sera 16/3/2005
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Oggi
La Regione Lombardia il 3 aprile dichiara: “E' stato firmato da Sviluppo
Italia il contratto per l'acquisto di parte delle aree ex Alfa Romeo
su cui si insediera' il Polo per la Mobilita' Sostenibile, che portera’
ad Arese imprese e centri di ricerca attivi nell'ambito delle tecnologie
eco-compatibili e della mobilita' sostenibile”. Sviluppo Italia ha comprato
70mila mtq dell’area. Vengono promessi 270 posti di lavoro.
Il 6 aprile presso il ministero del Welfare viene firmato un accordo
tra Governo, sindacati e azienda nel quale si prevede una proroga di
un anno della cassa integrazione per 377 operai di Arese. E’ il quarto
anno di proroga della cassa integrazione. Nel frattempo nella zona Abp
si sono insediate aziende come la Pirelli (la quale per il momento si
limita a ristrutturare i capannoni ad essa destinati: 8.590 mtq), la
Fiege multinazionale austriaca della logistica (occupa 8mila mtq ed
è stata oggetto di recenti attacchi in quanto vorrebbe assumere
soltanto lavoratori precari, strategia che non rispetta gli accordi
del 2003 per il ricollocamento dei dipendenti ex Alfa) e Futura, azienda
che confeziona cialde per la Lavazza che si è aggiudicata 17mila
mtq del polo logistico. Per il momento non è dato sapere se queste
aziende hanno assunto dipendenti dell’ex stabilimento dell’Alfa.
La
struttura odierna dello stabilimento è composta da tre aree principali:
• l’area Abp di 650 metri quadri (polo logistico) all’interno della
quale si sono insediate le aziende citate.
• L’area acquistata (70mila mtq) da Sviluppo Italia e per la quale siamo
in attesa del polo della mobilità sostenibile e di progetti concreti.
All’interno di quest’area resistono i pochi centri attivi Fiat (direzionale,
progettazione e Powertrain e call center In Action)
• L’area che appartiene a Duema (ex estate sei) che oggi è vuota.
Di
sicuro ci sono solo i numeri.
Le
persone che tuttora lavorano in questo stabilimento sono 770 di cui
490 in Fiat auto 200 in Powertrain e 80 nei servizi vari (non consideriamo
i dipendenti del call center in-Action). In cassa integrazione straordinaria
ci sono ancora 489 lavoratori di cui 370 di Fiat Auto, per i quali il
Governo ha concesso la proroga per il quarto anno, 114 di Powertrain
e 5 di Purchasing (acquisti).
Molti dipendenti sono in cassa integrazione da 4 anni a 550 euro al
mese.
A giudicare
dai risultati si direbbe che l’obiettivo di Fiat e Governo, in questi
anni, sia stato quello di smantellare questa sede produttiva e non il
contrario. Ora c’è chi sospetta che l’intenzione della proprietà
sia quella di cambiare la destinazione d’uso dell’area per trasformarla
ad uso commerciale. Pare, però, che i Comuni interessati (ai
quali spetta la decisione) tengano duro.
Intanto scattano le prime perquisizioni da parte della Guardia di Finanza
all’interno dell’inchiesta sul fallito piano di reindustrializazzione
dell’area: Le Fiamme Gialle si sono presentate con un “ordine di esibizione
di documenti nelle sedi della Fiat a Torino, della Regione Lombardia
e del consorzio pubblico-privato Craa” (nota 12).
Tante domande ma poche risposte, ma soprattutto pochissimi passi concreti.
Delle promesse della Regione nessuna si è tramutata nella creazione
di posti di lavoro per gli ex-dipendenti Alfa.
Non
solo i dipendenti Alfa sono stanchi di aspettare, paradossalmente (o
è un segnale importante che ci fa capire tante cose?) anche le
società che dovrebbero investire minacciano di dire addio agli
affari nell’area di Arese: «Qui è impossibile lavorare
- dice sfiduciato Miles Jones, amministratore delegato di Aig Lincoln
Italia -abbiamo già perso molto tempo per cercare di realizzare
il nostro business park: se non ci sono le condizioni, allora è
inutile andare avanti (nota 13)» e ancora
: « O il polo della mobilità sostenibile parte al più
presto, o saremo costretti a rinunciare ad Arese » dichiara un
portavoce di Tvr . Chi avrà l’interesse nel tenere lontano gli
investitori da quest’area?
Se facessimo qualche semplice (e semplicistico) esercizio di sottrazione
scopriremmo che dal 1994, data dei primi accordi istituzionali per la
reindustrializzazione dell’area, ad oggi l’azienda è passata
da 10mila dipendenti (e se torniamo al 1986, data dell’avvento della
Fiat erano 16mila) a soli 770. Risultato: migliaia di dipendenti licenziati
o messi in mobilità. E ancora oggi non vi è nessuna prospettiva
concreta.
Se
questa è reindustrializzazione.
27
luglio 2006
Andrea
Trentini
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nota 12: Corriere della Sera 21 aprile 2005
nota 13: Corriere della Sera 24 febbraio 2006
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il
primo Protocollo di intenti tra Fiat e il Governo
Sfogliando articoli del protocollo, formalizzato presso la Presidenza
del Consiglio, si legge che quest’ultimo prevede “la realizzazione di
un programma per la ricerca e lo sviluppo di veicoli innovativi a basso
impatto ambientale, mirato alla produzione di veicoli a emissione zero
ed a ridotto inquinamento acustico per trasporto privato, collettivo
e di merci”.
Tale programma sarebbe finalizzato a “contribuire in modo efficace il
miglioramento delle condizioni ambientali ed è inoltre finalizzato
a consentire lo sviluppo di una domanda nazionale e internazionale di
buone dimensioni (parliamo di veicoli a basso impatto ambientale) aprendo
prospettive di produzione consistenti”. Fiat si impegna inoltre a svolgere,
all’interno dello stabilimento di Arese, e di concerto con Enti pubblici
e privati, attività di ricerca e di sviluppo, ponendo anche le
scadenze per la data d’inizio della produzione di vetture elettriche
e a metano. A dodici anni da questo accordo dobbiamo registrare il fallimento
di questo progetto. Questo nuovo tipo di vetture e tutto l’indotto tecnologico
non è affare da poco. E’ impresa ardua creare a tavolino, nel
giro di pochi anni, un mercato così sconvolgente dal punto di
vista economico e sociale.
E’ lecito, perciò, storcere il naso davanti a questo tipo di
accordo. Ci si chiederà come fosse possibile, all’inizio degli
anni ’90, credere davvero che un progetto del genere avrebbe potuto
realizzarsi. L’impressione è che Fiat, avendo grande potere occupazionale,
tenesse in scacco il Governo, posizione dalla quale poteva permettersi
di sottoscrivere accordi del genere che garantissereo finanziamenti
per progetti che, eufemisticamente parlando, definiremmo difficilmente
concretizzabili. “Io ti assicuro il lavoro per i tuoi cittadini, ma
tu, in cambio, mi dai tutte le garanzie e gli aiuti necessari (e anche
di più) affinchè io possa continuare a svolgere il mio
lavoro”.
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legge
regionale n.30/94
La legge regionale
n.30 approvata il 15 novembre del 1994 promuove gli interventi di recupero
e riqualificazione di aree industriali dismesse (il governo era impegnato
a far riconoscere dall’Unione Europea l’area di Arese come area industriale
dimessa) regola i finanziamenti erogabili per queste operazioni e ammette
la creazione di società specializzate con le quali la Regione
può effettuare delle convenzioni per favorire la reindustrilizzazione
dell’area.
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Craa
(consorzio per la reindustrializzazione dell’area di Arese)
Il consorzio di ricerca, rivolto in via prioritaria allo sviluppo e
all'innovazione nel campo delle vetture a ridotta emissione, è
stato costituito in data 31 luglio 1996, contestualmente alla firma
dell'accordo di programma tra Governo e società Fiat. In detto
accordo di programma è specificato che la Fiat si impegna ad
avviare l'attività produttiva di vetture a ridotto impatto ambientale
nell'area di Arese compatibilmente al raggiungimento di adeguati volumi
di domanda, ed il Governo, parimenti, si impegnava a predisporre le
misure e gli interventi idonei a favorire la diffusione di veicoli produttivi
ecologici e, pertanto, a costituire il presupposto dell'avviamento produttivo
con specifiche norme dispositive entro il 31 dicembre 1996. La durata
del consorzio è di 5 anni ma dovrà essere prorogata fino
al completamento delle attività di ricerca previste dall’Accordo
di Protocollo.
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Consorzio di ricerca
Il consorzio di reindustrializzazione, dotato di due miliardi di capitale,
è finalizzato alla promozione dell'insediamento di attività
produttive nel comprensorio di Arese. E’ partecipato al 30 per cento
da Fiat Auto, al 15 per cento dalla Finlombarda Spa, al 15 per cento
da BIC Lombardia Spa, al 10 per cento dalla provincia di Milano, al
10 per cento dalla camera di commercio di Milano ed al 20 per cento
dalle amministrazioni comunali che insistono sul suddetto comprensorio
(Arese, Bollate, Garbagnate, Lainate e Rho). Molti hanno espresso forti
dubbi sull’efficienza del lavoro di tale consorzio.
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piano
arrocco
“Tale
piano – risponde alla Camera, in data 16/7/97, Salvatore Ladu - è
finalizzato a rendere disponibili le aree per le attività coordinate
dal C.r.a.a. attraverso la realizzazione di un processo di riallocazione
e concentrazione delle attività industriali di Fiat Auto meccanica
e carrozzeria nel comprensorio di Arese”.
Al termine di tale processo (entro il 1998), l'area resa disponibile
da Fiat Auto per le attività coordinate dal C.r.a.a. ammonterà
complessivamente a 900 mila metri quadri di cui 380 mila coperti. La
realizzazione del piano di «arrocco» comporterà un
programma di investimenti di circa 112 miliardi, rispetto ai circa 60
previsti nell'accordo del 28 giugno 1996, da completarsi entro il 1999.
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Polo
della mobilità sostenibile
Il “Polo della Mobilità sostenibile” (Pms) infonde una buona
dose di ottimismo per il futuro dell’area.
La Regione Lombardia commissiona all’Enea (ente per le nuove tecnologie,
l‘energia e l’ambiente) uno studio di prefattibilità del progetto
“Polo della mobilità sostenibile”.
“Il progetto costituisce la risposta in positivo alla crisi dell’insediamento
industriale Fiat -Alfa-Romeo di Arese - si legge nel comunicato di presentazione
del progetto da parte dell’Enea - così come è stata elaborata
dalla Regione Lombardia di concerto con le Organizzazioni Sindacali
(accordo del 27 Febbraio 2003) , con le Amministrazioni comunali competenti
e le società proprietarie delle aree (Protocollo di intesa del
28 Luglio 2003, accordo di programma del 13 Aprile 2004)”.
Questo progetto si ripropone di individuare le possibili soluzioni alla
crisi ambientale in Lombardia, riqualificare il sistema industriale
lombardo, riposizionare l’impegno della ricerca avanzata nel settore
della mobilità e collocare la Lombardia nel piano strategico
dell’Unione Europea incentrato sull’impiego dell’idrogeno come vettore
energetico del futuro. “ci si è mossi per mantenere l'integrità
dell'area, per aggiornarne la vocazione automotive e per non cedere
quindi a tentazioni che ne favorissero la frammentazione” si legge sul
sito internet che l’Enea dedica al progetto .
Il gruppo di lavoro, costituito da 36 ricercatori, ha lavorato per due
anni (coordinati Mario Agostinelli) alla fine dei quali hanno potuto
divulgare un rapporto che esprimeva parere positivo per quanto concerne
la fattibilità del progetto. La sede nella quale si sarebbe dovuto
insediare il Pms è la zona del cosiddetto “piano arrocco” di
proprietà di Estate sei.
A tre anni dall “approvazione” da parte Enea non c’è ancora l’ombra
di un polo della mobilità nell’area di Arese.
“La Regione non lo ha mai divulgato, quando sono stato eletto consigliere
regionale nessuno ne sapeva nulla” dichiarerà tre anni più
tardi Agostinelli.
Forse quel rapporto, l’unico prodotto che permetteva di guardare con
un certo ottimismo sul futuro dell’area, sta ancora chiuso in qualche
cassetto ai piani alti del Pirellone.
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